LA GENESI DE “MARTINO E LE FERIE"

N.B. I meccanismi psicologici qui sotto descritti NON DEVONO essere rivelati ai bambini.

" Fede "

 

“Martino e le ferie” è un fumetto. Nel senso che, come per il precedente, non può essere definito una storia illustrata, in quanto sono le didascalie sottostanti che illustrano i disegni e non viceversa. Quindi, come vedremo più avanti, è stato fatto un accurato lavoro di sceneggiatura per sezionare il racconto in “scene”. Infatti, le didascalie non esprimono lo svolgimento narrativo della storia, ma si limitano a descrivere la scena.

Con questo lavoro, abbiamo voluto chiarire in che modo il catechismo possa essere utile nello sviluppo affettivo del fanciullo, e perché, secondo noi, potrebbe essere opportuno, da parte dei genitori, avviare i propri figli verso questa attività. Inoltre, con questo lavoro, abbiamo voluto confezionare una storia che possa essere di stimolo per il bambino a fare tesoro della sua innata attitudine alla credenza, affinché questa diventi fede, in precetti e principi che possiedono un alto valore propedeutico allo sviluppo psicologico.

Sappiamo, dalla psicologia evolutiva, che il disporre di se stessi, compresa l’autoaffermazione e l’inclusione sociale che ne sono conseguenze, rappresenta il raggiungimento dell’età adulta nello sviluppo affettivo. Tuttavia, una volta conquistata la maturità affettiva, vi è ancora un altro limite da superare, per completare lo sviluppo psicologico naturale. Ovvero, la caducità. Infatti, la finitezza umana, per definizione, limita la nostra capacità di autoaffermazione e di conseguenza il controllo sull'ambiente che ci circonda, attraverso la percezione di tutto ciò che non sia calcolabile. Per questo motivo, nell'intero corso di tutta la vita, manterremo sempre una sensazione di incompletezza nei confronti della possibilità di disporre di noi stessi, la quale ci induce necessariamente a concepire qualcosa di più grande di noi e, soprattutto, di incontrollabile. Questa materia, del tutto inconoscibile e della quale evidentemente non ci sentiamo del tutto parte, ma soggiacenti, costituisce un bisogno inalienabile per tutti gli individui. In sostanza, a causa del limite dato dalla consapevolezza della morte, una parte della nostra percezione affettiva concepirà sempre qualcosa d’ignoto e incontrollabile, rendendoci imprescindibilmente costretti a sperare che la sorte o il destino ci siano favorevoli.

Quindi, quale altra personalità psicologica soggiace all’indeterminazione dei fattori ambientali, più di quella adulta che tranne per un unico dettaglio invece li domina? Quella infantile. Infatti, nessuno più del bambino è tendenzialmente indotto a concepire una forza sovrumana, qualsivoglia casuale o causale, che possa determinare gli elementi. Ed è proprio perché questa percezione presenta caratteri innati e sostanzialmente immutabili nel corso di tutta la vita, che una corretta educazione alla fede costituisce un fattore determinante nello sviluppo affettivo. Quindi, siccome sappiamo che il bambino non dispone per sé, ma tutto chiede e di tutto abbisogna, va da sé che proprio nell’infanzia si manifesti maggiormente la necessità di intervenire sull’educazione alla fede, affinché quest’ultima presenti dei caratteri propedeutici, in linea con lo sviluppo psicologico, anziché superstiziosi o di credenze generiche, puramente simboliche. Ora, senza entrare nel merito della veridicità delle confessioni religiose, dal punto di vista psicologico, tutte le religioni più diffuse, con i loro precetti, contribuiscono allo sviluppo affettivo della persona, in quanto i precetti stessi risultano essere utili viatici per una percezione dell’esistenza che tendenzialmente superi i limiti biologici naturalmente presenti nell’essere umano, in conformità con lo sviluppo psicologico naturale.

Pertanto, in questo nono episodio del gatto Martino, abbiamo voluto esemplificare, ricorrendo all’uso di due importanti passi della dottrina Cattolica, come in una situazione di temporaneo disagio, in cui il bambino nulla può e nulla sa, la devozione verso l’oggetto della sua nostalgia possa spingerlo, (in una sorta di celebrazione augurale) tra le altre cose, ad una riparazione postuma della volontà vacante, quale personificazione riordinatrice della situazione iniziale. Ovvero, esemplificando una, tra le Virtù Teologali e due, tra quelle Cardinali, insceniamo come il nostro protagonista renda giustizia alla volontà della sua padrona nei confronti del proprio comportamento, nel momento in cui ella viene a mancare per motivi a lui inconoscibili e irrimediabili. In pratica, l’aspetto propositivo delle volontà della padrona nei confronti dell’atteggiamento di Martino, delle quali egli non vede altro che un’utilità formale, unite alla fede nel fatto che assolvendole ella ritorni, creano il viatico ideale per l’attuazione di una corretta credenza che conduce ogni soggetto ad allenarsi inconsapevolmente, in vista di ciò che costituisce la completa maturazione affettiva, ossia l’amore universale, a prescindere dal fatto che il soggetto in questione ci arrivi o meno. Per tanto, come buon auspicio affinché la sua padrona ritorni, Martino si comporta come ella gli aveva raccomandato, cioè bene. Infatti, nessuna scienza umana o religione pretende che si diventi tutti Buddha, ma la direzione naturale, alla quale ogni fase dello sviluppo psicologico e affettivo tende, è quella del bene comune. E questo lo dice l’osservazione della Natura, non l’etica scientifica o la morale religiosa. In pratica, in natura non esiste il relativismo, tutto tende sempre e comunque al bene. Ovvero, alla preservazione della natura stessa. Ma, a prescindere dall’individuo. E quando un soggetto giunge alla completa maturazione affettiva, allora egli non percepirà più solo il bene relativo, ma anche quello universale, superando il limite della morte e sentendosi parte del proprio destino che non sarà più altro da sé. Tra l'altro, non è necessario che uno ci arrivi (infatti, si calcola che nei paesi industrializzati, a partire dall'inizio del ventesimo secolo, solo una piccola parte della popolazione giunga al completamento dello sviluppo affittivo) per decretare l’utilità di una corretta educazione alla fede negli anni dell'età evolutiva. Perché, come dicevamo, se uno deve avere fede in qualcosa, affinché il destino gli sia favorevole, tanto vale che abbia fede nel bene, in previsione che ci arrivi davvero. In sostanza, per la psicologia, è utile venire educati, in quella che si rappresenta come un’imprescindibile percezione d’incompletezza, verso il bene universale, in quanto il bene relativo in natura non esiste.

Ora, come di consueto, esamineremo più nel dettaglio questa storia. Ma, prima, osserviamone la struttura del soggetto, poiché da esso possiamo già trarre qualche indicazione.

Prologo. Il gatto Martino passa una splendida mattinata in compagnia della sua padrona. Mentre ella stende i panni, lui fa colazione, riceve la visita di un uccellino e, in seguito, di un porcospino. La sua padrona gli insegnerà a non nutrirsi oltre la necessità, a non essere prevenuto nei confronti dell’uccellino e ad essere caritatevole verso un porcospino assetato.

Antefatto. Il giorno seguente, giunge a far loro visita un amico dei suoi padroni. E, nonostante questo signore fosse una ben nota conoscenza di Martino per essersi recato lì più volte, i suoi padroni gli mostrano nuovamente tutta la casa e persino dove conservano il cibo di Martino.

Misfatto. Martino, di ritorno dai divertimenti con gli amici, deve constatare l’assenza dei suoi padroni. Pertanto, è costretto a passare la notte in una cuccia, appositamente preparata per lui, all’esterno della casa. Il giorno seguente e ogni sera da allora, l’amico dei suoi padroni andrà a portargli una scodella piena di cibo.

Fatto. In seguito, Martino si vede sempre più affranto e impotente per la mancanza dei suoi padroni. Un giorno, alla vista dello stendibiancheria, decide, come buon auspicio, di tenere da parte un po’ di cibo, di favorire l’uccellino dove l’erba è più rada, e di donare un po’ della sua acqua al riccio assetato.

Epilogo. Quando finalmente i suoi padroni fanno ritorno a casa, Martino ha la sensazione che le sue preghiere siano state ascoltate. Quindi, va a trovare i suoi amici che, dopo avergli chiesto della sua prolungata assenza, riferiscono di aver visto l’automobile dei suoi padroni, in sosta lì vicino, proprio l’ultimo giorno in cui si erano incontrati, e poco dopo che lui se ne era andato.

Quindi, dicevamo che, se la naturale attitudine del bambino è quella di credere in un’entità superiore che possa condizionare gli elementi (in quanto egli, più d’ogni altro, si trova nella condizione di non poter esercitare un controllo diretto degli avvenimenti e dell’ambiente che lo circonda), si capisce l’importanza dell’avere l’opportunità di poter tramutare questa attitudine in fede nei precetti che plasmano il suo corretto sviluppo psicologico. Allora, dal momento che il nostro protagonista simboleggia un bambino, la devozione che egli nutre nei confronti della sua padrona lo induce ad avere fede negli adempimenti che ella gli ha raccomandato di seguire, e che egli mette in pratica, in una sorta di celebrazione augurale, poiché non gli resta altro da fare per propiziarsi il fato a lui, in quel momento, sfavorevole. Infatti, allo stesso modo, tutti i bambini nutrono un sentimento di devozione nei confronti dei cosiddetti “adulti di riferimento”, ai quali appartengono, oltre ai genitori, anche gli insegnanti, gli allenatori sportivi ecc… Ma quali sono questi precetti che la padrona del gatto Martino gli raccomanda di mettere in pratica? Per necessità puramente narrative, abbiamo scelto la Temperanza, in riferimento alla moderazione dei piaceri della gola, in quanto psicologicamente può rappresentare il viatico ideale per l’armonia e l’equilibrio con le risorse che ci vengono dalla natura. La Prudenza, in riferimento al saper discernere il vero dal falso, in quanto psicologicamente può rappresentare il viatico ideale per un sapere essenziale o saggezza. Questo, per quel che riguarda le Virtù Cardinali, mentre per quelle Teologali abbiamo scelto la Carità. Quest’ultime infatti, che secondo la dottrina Cattolica provengono direttamente da Dio, hanno la caratteristica di essere simulazioni della personalità affettiva psicologicamente più evoluta, quindi direttamente propedeutiche all’amore universale. Ma allora, come funziona l’assimilazione del messaggio di questa storia? Come già avvenuto per il primo episodio di questa lunga serie, l’interpretazione del messaggio, da parte del lettore, non può essere deduttiva. Infatti, come nel primo “Martino e il trasloco", anche qui non vi è una morale estrapolabile dalla storia, piuttosto la storia medesima potrebbe rappresentare uno stimolo, a disposizione del bambino, per interpretare la propria vita. Infatti, l'elaborazione della nostalgia per la vecchia casa, descritta nel primo episodio, è del tutto analoga alla descrizione della nostalgia per l’assenza dei padroni del gatto Martino, descritta nel nono. Allora, se interpretassimo deduttivamente questa storia, dovremmo concludere che Martino si è comportato bene inutilmente, poiché i suoi padroni sarebbero tornati comunque, a prescindere dai suoi auspici propiziatori. Mentre, come già accennavamo a proposito del primo episodio, il messaggio più pervasivo e ragionevolmente probabile, che potrebbe rimanere al lettore, è quello di un percorso di formazione, dove il soggetto elabora positivamente un’esperienza dolorosa.

Come già accennato, il soggetto è stato sezionato in scene che sono appunto la risultanza di un percorso narrativo scandito dalle immagini. A tale scopo, le azioni repentine sono state dilatate con la ripetizione di più scene, mentre le digressioni narrative sono state economizzate, concentrando in una sola scena l'avanzamento della storia. A questo punto sono stati scritti i testi.

Quindi dalle scene scritte, si è passati alla realizzazione di “bozzetti” per cominciare ad immaginare visivamente le scene.

Per il disegno, come nel fumetto precedente, ci siamo trovati di fronte ad un dilemma. Scegliere un tratto stilizzato o realistico. Quello realistico non si addice ad una storia per bambini, poiché essi si esprimono nell'ambito del gioco e non nella realtà. Invece, quello stilizzato non ci consente di tratteggiare lo sfondo, indispensabile allo svolgimento della nostra storia (Lo sfondo stilizzato è ad esempio quello di Topolino che ovviamente è surreale). Quindi, abbiamo deciso di scegliere un tratto che rappresentasse un compromesso. Un disegno realistico, ma come se fosse fatto da un bambino, stentato e con l'anatomia appena accennata.

Per la colorazione, sempre per dare l’impressione che non fosse troppo realista, ci siamo avvalsi dell’uso del computer.

Infine, abbiamo aggiunto le didascalie e salvato i file in modo da stamparli fronte-retro. Le vignette vengono tagliate e rilegate a mano.

 

ANNO MMXVII