LA GENESI DE “MARTINO E L’ORA DI CENA”

N.B. I meccanismi psicologici qui sotto descritti NON DEVONO essere rivelati ai bambini.

" Ritualità famigliari "

“Martino e l’ora di cena” è un fumetto. Nel senso che, come per il precedente, non può essere definito una storia illustrata. In quanto, sono le didascalie sottostanti che illustrano i disegni e non viceversa. Quindi, come vedremo più avanti, è stato fatto un accurato lavoro di sceneggiatura per sezionare il racconto in “scene”. Infatti, le didascalie non esprimono lo svolgimento narrativo della storia, ma si limitano a descrivere la scena.

Sappiamo che la personalità infantile percepisce l’ambiente che la circonda, come se quest’ultimo fosse completamente al di fuori dalle sue possibilità di controllo e determinazione. Infatti, come abbiamo già illustrato nelle precedenti postfazioni, la principale caratteristica del bambino è che egli tutto chiede e di tutto abbisogna. Perciò diciamo che, se il fanciullo non è in grado di disporre per se stesso, non lo è nemmeno per l’ambiente in cui vive. Infatti, a differenza del bambino che si trova nella fase pre-scolare, durante la seconda infanzia il fanciullo necessita di dipendere dai genitori, per tutto ciò che non riguardi i suoi stretti bisogni personali, tranne ovviamente nei casi eccezionali. In questo ambito, i ritmi e le abitudini dell’ambiente in cui vive, vengono percepiti dal bambino come un rituale rassicurante, che gli forniscono la sensazione di vivere nella certezza di un ambiente stabile e quindi protettivo. Quando, però, queste ritualità vengono a mancare, perché l’ambiente risulta essere precario o incostante, il bambino si sente conseguentemente a disagio. Invece, nel momento in cui le ritualità ambientali si presentassero consuetudinarie, potremmo assistere, da parte del bambino, al suo consapevole desiderio di evaderle saltuariamente. Ovvero, alcuni rituali, con modi e orari prestabiliti, potrebbero apparirgli come delle coercizioni, alle quali egli vorrà opporsi, preferendo magari il rimane a giocare. Mentre, se queste consuetudini gli venissero a mancare, ne avvertirebbe un disagio, dovuto all’insufficienza di riferimenti certi, il quale non presenterebbe il manifesto aspetto dei capricci relativi al loro stesso assolvimento, ma che verrebbe percepito dal soggetto come un indefinito malessere interiore.

In questo senso, l’obbligatorietà della celebrazione dei rituali in famiglia o negli altri ambienti in cui il fanciullo vive, costituisce una nota opportunità educativa, in quanto propedeutica alla futura edificazione dei propri rituali, in età adulta. Ovvero, allo scopo che il soggetto possa, in età adulta, costruirsi un ambiente di vita scandito da abitudini consuetudinarie, che la renderanno percettivamente solida, rassicurante e certa, si rende necessaria e utile la celebrazione di ritualità che gli forniscano la sensazione di vivere in un ambiente solido, rassicurante e certo. In pratica, se un bambino trascorresse la sua infanzia in un ambiente costantemente privo di certezze che gli inducono un senso di sicurezza e protezione, da adulto non avvertirebbe la necessità di organizzarsi in modo tale. Quindi, coinvolgere il bambino nella partecipazione alle ritualità famigliari, non gli insegnerebbe a costruire, in futuro, un ambiente di vita rassicurante e protettivo per sé e suoi cari, bensì susciterebbe in lui la futura necessità e il desiderio di vivere in un ambiente siffatto.

Inoltre, se i riti vengono normalmente celebrati (quindi attraverso un atto formale), le celebrazioni vengono invece consumate. Ovvero, vissute nella loro sostanza effettiva. Per tanto, in questo caso, vi è una coincidenza, in un certo senso reale, tra il percepire un ambiente rassicurante e protettivo, con il vivere in un ambiente rassicurante e protettivo. In questo senso, qualora le ritualità famigliari venissero a mancare, non solo veicolerebbero un disagio psicologico legato all’assenza di queste certezze, ma costituirebbero anche la mancanza sostanziale del loro stesso consumo. La cui obbligatorietà, tuttavia, come abbiamo già visto, spesso viene percepita dal bambino in guisa di una coercizione, a cui egli assolve contro voglia.

Vediamo ora come è strutturato il soggetto di questa storia.

Antefatto. Il gatto Martino, incalzato dai suoi padroni ad essere presente all’ora di cena e, in seguito al desco, a fare ad essi compagnia davanti al televisore, preferisce invece starsene a giocare in giardino.

Fatto. Nei giorni seguenti, i suoi padroni mangiano a un orario diverso dal solito e, dopo cena, vanno a fare una passeggiata. Martino si sente a disagio, per questo repentino cambiamento di abitudini nella sua vita famigliare.

Epilogo. La sera successiva, Martino si fa trovare puntuale all’ora di cena, e prima ancora che i suoi padroni lo chiamino. In seguito, terrà loro compagnia per tutta la serata.

Come si evince dal soggetto appena illustrato, abbiamo voluto tratteggiare una storia che esemplificasse l’intera dinamica psicologica, esposta nella premessa di questa postfazione. Quindi, cominciando con la pretesa partecipazione del nostro protagonista, da parte dei suoi padroni, ai rituali famigliari, la storia illustra subito come egli invece preferisca dedicarsi ai suoi divertimenti. Poi, quando i suoi padroni inaspettatamente stravolgono le loro consuetudini, il gatto Martino avverte il disagio dovuto alla mancanza di riferimenti abituali, nella sua vita famigliare. In seguito a questo, il nostro protagonista si dedica volontariamente alla celebrazione rituale delle consuetudini domestiche, in quanto essa coincide al consumo effettivo e sostanziale della loro funzione rassicurante.

Come già accennato, il soggetto è stato sezionato in scene che sono appunto la risultanza di un percorso narrativo scandito dalle immagini. A tale scopo, le azioni repentine sono state dilatate con la ripetizione di più scene, mentre le digressioni narrative sono state economizzate, concentrando in una sola scena l'avanzamento della storia. A questo punto sono stati scritti i testi.

Quindi dalle scene scritte, si è passati alla realizzazione di “bozzetti” per cominciare ad immaginare visivamente le scene.

Per il disegno, come nel fumetto precedente, ci siamo trovati di fronte ad un dilemma. Scegliere un tratto stilizzato o realistico. Quello realistico non si addice ad una storia per bambini, poiché essi si esprimono nell'ambito del gioco e non nella realtà. Invece, quello stilizzato non ci consente di tratteggiare lo sfondo, indispensabile allo svolgimento della nostra storia (Lo sfondo stilizzato è ad esempio quello di Topolino che ovviamente è surreale). Quindi, abbiamo deciso di scegliere un tratto che rappresentasse un compromesso. Un disegno realistico, ma come se fosse fatto da un bambino, stentato e con l'anatomia appena accennata.

Per la colorazione, sempre per dare l’impressione che non fosse troppo realista, ci siamo avvalsi dell’uso del computer.

Infine, abbiamo aggiunto le didascalie e salvato i file in modo da stamparli fronte-retro. Le vignette vengono tagliate e rilegate a mano.

ANNO MMXIX